Con molta probabilità, la terra non è l’unico pianeta ad avere caratteristiche tali da poter garantire la vita e di conseguenza a poter essere abitabile.
A conti fatti però, non vi sono prove tangibili di ciò, ma solo degli indizi – quali possono essere ad esempio i microorganismi presenti in tempi remoti su Marte – e supposizioni.
Tuttavia, la ricerca dell’esistenza di altre forme di vita continua senza tregua, giorno dopo giorno.
In tutto ciò, da quasi un anno a questa parte, grazie all’innovativo telescopio spaziale James Webb, si stanno cercando altri “mondi” idonei all’esistenza, benché l’obiettivo dichiarato sia quello di indagare sulla presenza di buchi neri nella maggior parte delle galassie e la loro percentuale di massa, rispetto alla materia visibile.
Da quello che sappiamo, in teoria i pianeti potenzialmente abitabili nella Via Lattea potrebbero essere circa 300 milioni ma fino ad ora non abbiam avuto molti modi per rivelarli.
Il nuovo telescopio spaziale James Webb, potrebbe sicuramente darci una mano in queste ricerche, le quali potrebbero affiancarsi a quelle del telescopio spaziale Hubble.
Esso, lanciato ormai nel lontano 1990, ha infatti registrato alcune delle più dettagliate immagini nella luce visibile, permettendo una visuale profonda nello spazio e nel tempo.
Molte osservazioni dell’Hubble ebbero infatti dei riscontri in astrofisica, come ad esempio la determinazione accurata del tasso di espansione dell’Universo.
Detto questo, è notizia di pochi giorni (26 Agosto 2022, ndr), la scoperta di CO2 su di un pianeta alieno, proprio da parte del James Webb.
Ci stiamo riferendo infatti al pianeta gigante gassoso WASP-39 b, in orbita attorno a una stella simile al Sole a 700 anni luce da noi.
Rilevare un segnale così chiaro di anidride carbonica su WASP-39 b, fa infatti ben sperare per il rilevamento di atmosfere su pianeti più piccoli di dimensioni terrestri.
Infatti, le molecole di anidride carbonica possono dire molto della storia di un pianeta, in quanto misurandole possiamo determinare quanto materiale solido o gassoso è stato utilizzato per formare tale corpo celeste.
Che cos’è una biofirma?
Fatta questa ampia introduzione, vogliamo parlarvi ora di un processo chimico fisico molto interessante, che secondo pareri a volte anche molto contrastanti, potrebbe portare ad identificare la presenza di organismi viventi in una particolare regione.
Questi prende il nome di biofirma.
In parole povere, questo processo entra in gioco nel momento in cui la luce rimbalza sulla superficie di un materiale o passa attraverso un gas.
Nonostante ciò, è più probabile che alcune sue lunghezze d’onda rimangano intrappolate nel gas o nella superficie del materiale rispetto ad altre.
Pertanto, la biofirma può essere utilizzata per riconoscere la presenza di alcuni gas atmosferici associati alla vita, quali l’ossigeno o il metano.
Per rilevare tutti questi sottili cambiamenti nella luce, proveniente da un esopianeta, abbiamo quindi bisogno di un telescopio innovativo ed avanzato, ed è proprio in questo contesto che si inserisce il James Webb.
Il telescopio James Webb
Già a partire dalla prima foto scattata attraverso il telescopio spaziale James Webb, si è capito fin da subito che qualcosa di rivoluzionario era stato realizzato sia per l’uomo che per la scienza.
Il JWST – acronimo di James Webb Space Telescope – è stato realizzato in collaborazione fra le tre agenzie spaziali della NASA, dell’ESA e della canadese CSA ed il suo lancio è avvenuto quasi un anno orsono, ossia il 25 dicembre 2021.
A partire da questa data, dopo circa un mese, ossia il 28 gennaio del 2022, il telescopio ha raggiunto il punto Lagrangiano della Terra, conosciuto anche con il nome di L2.
“Il punto Lagrangiano della Terra è fondamentalmente un luogo in cui sia la gravità terrestre, che quella solare e lunare si annullano, permettendo al telescopio un allineamento perfetto e stabile con l’orbita terrestre“.
Chiusa questa breve parentesi, il James Webb rappresenta sicuramente un punto di svolta nel contesto spaziale, in quanto è la prima volta che ci viene offerta la possibilità di osservare in modo così definito immagini distanti così tanto dal nostro pianeta Terra, arrivando quindi ad avere un’idea della composizione dell’Universo primordiale.
La primissima foto scattata dall’innovativo telescopio è stata svelata dal presidente americano Joe Biden, la quale, insieme ad altre immagini sono state svelate al mondo, il 12 luglio 2022.
La foto mostrata da Biden, si riferiva all‘ammasso di galassie SMACS 0723, una regione celeste visibile dall’emisfero australe che è stata spesso oggetto di osservazioni da parte del già citato telescopio Hubble.
Il telescopio Hubble
Come accennato precedentemente, seppur in maniera velata, possiamo affermare con certezza che il telescopio James Webb rappresenti sotto tutti i punti di vista il naturale successore dell’Hubble.
Tuttavia, essi funzionano in maniera completamente diversa.
Infatti, l’Hubble nacque per essere collocato ad una distanza dalla Terra tale che in caso di necessità si potesse intervenire per correggerlo in orbita.
Il James Webb invece, è stato collocato a 1,5 milioni km dalla Terra e non è possibile intervenire in orbita, al pari del suo predecessore.
Non si sa quanto la coesistenza dell’Hubble e del James Webb, potrebbe durare; infatti il James Webb sta già riscrivendo i libri di astrofisica, osservando galassie ben più lontane rispetto al record del suo predecessore.
La nascita del telescopio
Il primo telescopio nacque nel 1400, per mano di alcuni fabbricanti di lenti ed occhiali, risiedenti nel Nord Italia.
Questi “occhiali” era usati in tutta l’Europa ma le loro lenti non erano molto potenti, non erano lucide e non erano trasparenti: proprio per queste imperfezioni, il loro uso in ambito astronomico finì per essere escluso.
Tuttavia, tra la fine del 1500 e l’inizio del 1600, questi fabbricanti migliorarono la loro capacità di tagliare e lucidare le lenti.
Proprio in questo periodo Hans Lippershey, un altro fabbricante di occhiali ma in questo caso olandese, iniziò a sperimentare con le lenti.
Lippershey, mise sul suo telescopio un coperchio, che limitava la quantità di luce in entrata.
Nel momento in cui mise a fuoco questa ridotta quantità di luce, le immagini divennero chiare ma rimasero deboli.
Nonostante ciò, secondo Hans il suo strumento era in grado di ingrandire fino a 3 volte un’immagine.
In buona sostanza, il telescopio di Lippershey fu l’inizio dell’evoluzione del telescopio, il quale dopo svariati altri passaggi fu definitivamente perfezionato da Galileo Galilei, al quale viene attribuito anche il relativo brevetto.
All’epoca, infatti, puntando il telescopio verso il Sole, Galileo scoprì delle macchie di diverso colore, che indicavano le differenze di temperatura sulla superficie solare.
Inoltre, egli definì la Via Lattea, la galassia in cui si trova la Terra.
Nel corso degli anni, i telescopi vennero poi sempre più perfezionati, fino ad arrivare a distinguerli in 2 macro categorie:
I telescopi riflettori, i quali per l’appunto riflettono la luce che li va a colpire attraverso uno specchio concavo.
I telescopi rifrattori, invece, fanno uso di lenti convergenti che vanno a deviare la luce che proviene dall’oggetto che stiamo osservando fino a l’immagine riprodotta.
I primi furono inventati da Isaac Newton, mentre i secondi da Hans Lippershey.